Giuseppe Chiari nasce a Firenze il 26 settembre 1926.
Intraprende gli studi di ingegneria contemporaneamente a quelli di pianoforte e composizione, con l’intento di diventare un pianista di musica jazz; manifesta inoltre interesse verso il cinema, le arti visive, l’architettura e la letteratura, interessi che favoriranno lo sviluppo di un’attitudine culturale poliedrica sufficiente a non consentire, nell’ambiente culturale fiorentino, una sua immediata identificazione artistica.
Dedito agli studi di pianoforte (da sempre per l’artista strumento musicale per eccellenza, segno del conformismo sonoro e della sudditanza a precise leggi costruttive), Giuseppe Chiari nel 1947 crea con Giampiero Taverna il gruppo degli Amici del Jazz organizzando diversi concerti.
Del 1950 sono le sue prime composizioni: “do”, “Studi sulla singola frequenza” e “Intervalli”.
Chiari in questo periodo è affascinato dalla creazione strutturata, analitica e concettuale e da tutto ciò che è invenzione non sentimentale e idealistica.
Musicalmente conosce già ampiamente le maggiori istanze musicali del secolo e della dodecafonia apprendendone un aspetto fondamentale: creare le proprie regole logiche per comporre.
Il coinvolgimento nella sfera musicale, per lui, è sempre più profondo, dedicandosi con conferenze, convegni e concerti alla diffusione della Musica Nuova, prima assieme al compositore Pietro Grossi col quale nel 1961 istituisce l’associazione Vita Musicale Contemporanea (costituita da artisti-musicisti che ricercano nuove sperimentazioni musicali), successivamente col Gruppo 70 (fondato con i poeti Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, Sergio Salvi e i pittori Antonio Bueno e Silvio Loffredo) col quale collabora dal 1963 a Firenze con ricerche sul valore visuale del testo.
Lo spartito musicale non è considerato solo “come base per l’esecuzione del brano sonoro, ma anche come pittura da guardare, nella quale le note e la raffigurazione dei gesti diventano elementi visuali”; partire dagli anni ’60, Chiari, insieme ad altri artisti tra cui Bussotti e Cage, inizia ad addentrarsi nelle componenti grafiche della scrittura musicale, basandosi sulle “parole in libertà” e sulle “parolibere” del futurismo.
Inizia a sperimentare partiture in grado di trasformarsi in elaborati diagrammi, composizioni visive non più fatte per essere eseguite e poi ascoltate, bensì per essere guardate e vissute.
Nel ‘62, con Sylvano Bussotti, coordina la mostra-manifestazione musicale “Musica e Segno” ideata e presentata a Roma alla Galleria Numero e, varcando anche le frontiere d’oltre Oceano, a Buffalo al Creative and Performing Art Center, segnando l’inizio da parte di Chiari di composizioni musicali basate sul segno e sulla parola scritta.
Nello stesso anno, sempre con Bussotti, presenta a Milano alla Galleria Blu la mostra “Gesto e segno”.
L‘arte, secondo Chiari, si mescola al differente, per questo è costantemente variabile così da risultare “viva”.
La musica invece, è il confronto fra corpi e gesti dichiarando che quando un gesto è compiuto ed un suono suscitato non è più possibile modificarli, sono già accaduti. (Gesti sul piano G. Chiari 1962).
Nello stesso anno Giuseppe Chiari entra a far parte del gruppo internazionale e interdisciplinare Fluxus, nato negli USA per promozione di George Maciunas e impostato su comportamenti alternativi e continui sconfinamenti della specialità dei linguaggi.
Nel ’63 viene eseguito a New York il suo lavoro “Teatrino” all’interno di una serie di concerti organizzati da Charlotte Moorman e Nam June Paik.
Il 1964 è l’anno in cui Chiari diviene performer delle proprie opere concentrando così nella figura dell’artista e nella sua gestualità l’elemento fondamentale dell’opera d’arte, non più affidata ad un esecutore, dando valore all’autopresentazione, associando il momento autoesibitivo a quello della musica d’azione e della esemplificazione delle diverse operazioni concettuali, tuttavia l’autopresentazione, la gestualità narcisistica, resta la realizzazione della singola opera legata quindi all’interpretazione del brano musicale.
Con le sue operazioni visive e musicali, attraverso il gesto, il suono, la fotocopia, il foglio, la carta, la stampa tipografica (materiali di facile diffusione per aggredire il sistema dell’arte, della comunicazione, delle istituzioni, tipica di Fluxus) e con strumenti “visualmente innovativi” abbatte le tecniche della pittura, della musica, della poesia.
Dal 1970 Chiari sperimenta nuovi mezzi espressivi: collage su fogli di carta, su spartiti musicali, su strumenti musicali, su tavole di legno – con la successiva aggiunta di forti tocchi di colore. Gli oggetti, depauperati della loro prima funzione sonora, assurgono ad un ruolo visivo con una nuova peculiarità musicale.
Performances e conferenze lo portano, fra l’altro, a Berlino, Londra, Parigi, Vienna, Milano, Venezia, Roma, New York.
Contribuiscono inoltre alla professionalizzazione dell’attività musicale di Chiari sia una serie di richieste provenienti dal mondo politico della sinistra che lo invitano a portare la sua opera in numerose sedi ed è il caso ad esempio di “220 titoli di giornali”, performance a base della lettura e analisi del giornale La Nazione, sia con la pubblicazione di vari testi tra cui: nel 1969 presso l’editore Lerici, per espresso invito di Magdalo Mussio, il suo primo libro è “Musica senza contrappunto”, al quale è seguito nel 1971 “Senza titolo” un repertorio di slogan presentato alla Galleria Toselli di Milano in occasione di una sua personale, nel 1974 “Musica Madre” un antologia di frasi e componimenti per l’editore Prearo, nel 1976 esce “Metodo per Suonare”, che fra l’altro contiene l’opera del 1969 “Suonare la Città” in cui Chiari analizza e trasforma la città in uno strumento musicale, nel 1994 “Musica et cetera” in cui riflette sulle implicazioni della musica all’interno di un ampio meccanismo culturale, del 1999 infine è “Frasi”.
Nella maggior parte dei libri di Chiari, oltre al fondamentale significato dei concetti espressi, bisogna sottolineare la particolare impaginazione che fa assumere alle parole, alle frasi un valore grafico-estetico in un linguaggio visivo al pari di linee e colori, tali da considerarli come opere artistiche a vasta tiratura.
Intenso anche il programma espositivo in gallerie private e pubbliche con mostre personali e collettive e in musei d’arte contemporanea (Kunstmuseum Luzern, Luzern, 1973; Centr d’Art Contemporain, Ginevra, 1979; Museum of Contemporary Art, Chicago, 1993; Museum of Modern Art, San Francisco, 1994; Palazzo Fabroni, Pistoia, 2000 e 2004) e partecipando a manifestazioni nazionali ed internazionali (Documenta 5, Kassel, 1972; Biennale di Venezia, diverse edizioni, 1972, ’76 – mostra Attualità Internazionali 1972-76, ’78 Sezione Italiana, ’84 – rassegna Arte, Ambiente, Scene; VIII Biennale di Sidney, 1990) Chiari si rivela così protagonista dei linguaggi Fluxus e Concettuale.
Nel 1989 partecipa al Fluxus Codex al Museo di Arte Moderna di New York e l’anno successivo ad Ubi Fluxus ibi motus agli Antichi Granai della Serenissima (Giudecca) di Venezia.
Del 1996 la sua mostra Conceptual Music, al Palazzo Rocca e Spazio Multimediale ex Chiesa di San Francesco a Chiavari.
La sua attività come artista visivo lo porta ad essere considerato oggi l’artista Fluxus italiano più importante in campo internazionale.
Giuseppe Chiari muore a Firenze nel maggio del 2007.
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