Galleria Granelli
Galleria di Arte Contemporanea a Castiglioncello
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    CORRENTI ARTISTICHE

    POP ART

    La pop art è una delle correnti artistiche che inizia a delinearsi in Inghilterra nel 1952 attraverso i lavori di Hamilton e Paolozzi per poi affacciarsi negli Stati Uniti grazie alle opere di Warhol, Lichtenstein, Dine, Oldenburg, Wesselmann, Rivers, Segal, Rosenquist sviluppandosi contestualmente nel resto d’Europa.
    Il termine Pop art deriva dalla parola inglese “popular art” ovvero arte popolare.

     

    Partendo da una riflessione sulla loro contemporaneità, caratterizzata dall’abbondanza di merci e dalla presenza sempre più massiccia dei media, gli artisti pop prelevano i loro materiali, immagini e oggetti da quello che rappresentano nella realtà per creare l’opera.
    La Pop Art attinge i propri soggetti dall’universo del quotidiano e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili.

     

    In Europa trova subito grande risonanza grazie alla Biennale di Venezia del 1964 che la rappresenta in maniera più spettacolare e che assegna a Robert Rauschenberg il premio della giuria.
    Gli artisti europei prendono parte alla corrente in maniera diversa rispetto a quelli americani trovando una propria identità.
    Gli italiani elaborano un linguaggio che nella pop art assume valenze più umanistiche e letterarie, rispecchiando così le varie autonomie culturali e la sensibilità dei singoli, proponendo ognuno punti di vista originali, eterogenei, in alcuni casi anche critici della pop art americana e creando un clima in cui le influenze d’oltreoceano sono filtrate attraverso l’ironia e la storia, il passato e la contemporaneità, la cultura e la memoria.

     

    Ne fa parte il gruppo romano della Scuola di piazza del Popolo:
    Tano Festa | Franco Angeli | Mario Schifano | Mario Ceroli | Fabio Mauri | Giosetta Fioroni | Jannis Kounellis | Valerio Adami | Emilio Tadini | Alik Cavaliere | Lucio Del Pezzo | Titina Maselli | Pino Pascali | Claudio Cintoli | Beppe Devalle | Concetto Pozzati | Umberto Buscioni | Renato Mambor | Ugo Nespolo | Sergio Lomberdi | Aldo Modino | Piero Gilardi | Michelangelo Pistoletto | Enrico Baj | Domenico Gnoli.

    POESIA VISIVA

    All’inizio degli anni ’60 nasce un movimento artistico denominato “Poesia Visiva” che pone in un unico contesto le potenzialità espressive della parola in relazione all’immagine.

     

    Ideatori e protagonisti principali sono i fiorentini Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti che formano il “Gruppo 70”, al quale successivamente prenderanno parte:

     

    Lucia Marcucci | Ketty La Rocca | Anna e Martino Oberto | Luciano Ori | Mirella Bentivoglio | Giuseppe Chiari | Emilio Isgrò | Michele Perfetti | Sarenco | Magdalo  Mussio | UgoCarrega | RobertoSanesi| AdrianoSpatola | VincenzoFerrari | Gianfranco Baruchello ed altri

     

    I poeti visivi si rendono conto che sia la letteratura sia l’arte stavano utilizzando un linguaggio eccessivamente lontano da quello comune, decidono così, per colmare questa distanza, di creare un moderno volgare, il cui lessico proviene dall’ambito della comunicazione di massa, cioè dai quotidiani, dai rotocalchi, dalla pubblicità e dai fumetti.

     

    Il movimento risulta polemico verso la poesia lineare, a differenza della quale si impegnava e tuttora s’impegna nella manipolazione critica delle immagini che costituiscono il segno principale della civiltà dei consumi.

     

    Nasce pertanto il poema-collage tecnologico che usa stilemi verbali e visuali di dominio pubblico ma stravolgendoli.
    Ad esempio, in una serie di collages di francobolli Pignotti viene creato un contrasto spiazzante tra la frase fumettata e il personaggio raffigurato sul francobollo.

     

    Così pure nella serie “Visibile/Invisibile” e in quella “De-com-posizione”, immagini prese da rotocalchi vengono in parte velate o abrase e commentate da una frase dell’autore: l’effetto è quello di una risignificazione del visibile tramite l’invisibile.

     

    Il collage è la tecnica più congeniale perché permette un impatto immediato con elevato grado di decifrabilità e allo stesso tempo di riflessione su quello che sono le comunicazioni dei mass media.

     

    Contemporaneamente alcuni artisti stranieri lavorano sulle medesime problematiche dando vita ad una ricerca il cui testo poetico diviene la possibilità stessa di segno-parola; Jiri Kolar, Augusto e Haroldo de Campos, José Grunewald, Eugen Gomringer contribuiscono a definire Poesia Visiva come movimento internazionale.

    MINIMAL ART

    La Minimal Art nasce negli Stati Uniti nei primi anni ’60, quasi contemporaneamente alla pop art e basa la propria ricerca sul concetto di riduzione e raffreddamento dell’opera.

     

    Le opere sono composte da pochi elementi, i materiali in alcuni casi derivano da produzioni industriali, alcune delle matrici formali sono la geometria, il rigore esecutivo, il cromatismo limitato, l’assenza di decorazione, l’assenza di riferimento allegorico privilegiando al massimo la forma, che risulta articolata, anziché in strutture espressive, nella modulazione di elementi semplici che intendono essere solo quello che sono, pure forme lontane da ogni velleitaria illusione rappresentativa o espressiva.

     

    Un anticipo delle ricerche minimali è possibile trovarlo nelle opere di:

     

    Frank Stella | Robert Ryman | Brice Marden | Robert Mangold | Richard Tuttle

     

    Poiché la riduzione dell’impianto formale e cromatico è già in atto.
    Il termine Minimal Art viene usato per la prima volta nel 1965, dal critico Richard Wollheim nel saggio intitolato appunto “Minimal Art”, dove menziona appunto un gruppo di artisti americani quali:

     

    Donald Judd | Robert Morris | Carl Andre | Dan Flavin | Sol LeWitt | Tony Smith | Walter De Maria | Anthony Caro | William Tucker | Philip King

     

    L’intento è quello di realizzare opere in cui avvenga la totale sintesi tra forma volume e colore.
    Nei lavori tridimensionali si tiene rigorosamente conto delle nozioni di spazio, geometria e ordine, dove i pieni e i vuoti costruiscono l’opera stessa che si avvale di elementi modulari semplici, basati su scansioni, ritmi ed equilibri regolari.

     

    Verso la fine degli anni ’60 la ricerca minimale e analitica compare anche in Europa.
    In Francia, nasce il movimento Support-Surface e successivamente il gruppo BMPT che intendono la pittura come lavoro autoriflessivo mettendo in discussione i mezzi pittorici tradizionali tramite una diversità di tecniche di applicazione del colore e del gesto.

     

    In Italia, Francesco Lo Savio fu l’anticipatore indiscusso della Minimal Art, successivamente artisti come:

     

    Rodolfo Aricò | Gianfranco Pardi | Giuseppe Uncini | Mauro Staccioli | Nicola Carrino | Livio Marzot | Massimo Mochetti

     

    Questi si interessano con maggiore intensità ad elementi strutturali, mentre Claudio Verna, Claudio Olivieri, Giorgio Griffa, Carmengloria Morales e Antonio Pasa si concentrano soprattutto sul problema della superficie pittorica.

    MEDIALISMO

    Il Medialismo è un termine coniato dal critico napoletano Gabriele Perretta e poi riproposto in articoli su riviste specializzate come Flash Art e anche in una mostra collettiva nell’ottobre 1993 al Flash Art Museum di Trevi (Perugia).

     

    Il medianismo non considera l’opera d’arte come totalità autonoma ma trova riscontro in un concetto di arte-costruzione libera e autonoma della mente e del sentimento e consente un sistema di critica fondamentalmente estetico: un modo libero di recensire ed individuare i valori espressi in un certo prodotto poetico variandone continuamente il senso di ammirazione e di riconoscimento.

     

    A partire da ciò, i medialismi smentiscono subito quell’apparente raccolta di segmenti artistici già visti; Il medialismo sul piano dell’applicazione, pur prestandosi come tutt’altro che sistematico, si manifesta in diverse forme tra cui la pittura mediale, il medialismo analitico e l’anomia mediale.
    La pittura, ad esempio, agisce su un’ampia gamma iconografica evocando immagini frequenti dell’imprinting popolare; la media-analysis, invece, muovendosi con particolare contrasto verso l’idealismo concettuale, sostituisce la formalizzazione estetica in tutte le sue derivazioni come processo stesso dell’opera; l’anomia mediale, infine, comprende artisti che intervengono sull’immagine del mondo dell’economia e degli affari o che comunque si spogliano delle rispettive identità anagrafiche e si pongono come collettivi di comunicazione.

     

    I medialismi nascono dalle ricerche sviluppate negli ultimi anni, analizzando le radici del lavoro di un novero di artisti italiani e stranieri e riconoscendone un fondamento comune che critichi il concetto stesso di genere usato dall’avanguardia.
    Individuare e scegliere l’area spetta al fruitore senza perdere di vista lo scenario socio-economico, iconografico e tecnologicamente avanzato che fa da sfondo.

     

    Unisce questi artisti il rifiuto di una manipolazione meramente descrittiva della comunicazione fondata sull’accumulo di discipline collaterali, assimilabili piuttosto alle realtà più disparate della trasfigurazione sociale. L’artista mediale infatti, non rifà il verso a nessuno strumento particolare dei mass-media; in effetti non è importante che ci sia un riferimento esplicito alla mediologia, ma è più importante che ponga in discussione e prenda le distanze da quella recente storia che voleva riportare i temi dell’arte al proprio specifico attestandosi su di un’ambigua filosofia di transizione.
    (Tratto da G, Perretta, Medialismo, Milano, 1993.)

    FLUXUS

    ll movimento Fluxus nasce nel 1961 da un’idea dell’artista lituano George Maciunas e rappresenta un movimento mirato a rappresentare la fusione di tutte le arti rispettando comunque le specifiche di queste.

     

    Le opere Fluxus sono azioni, eventi che tendono a sottolineare quanto la quotidianità e la banalità della vita di ogni individuo possa essere intesa come evento artistico in quanto come afferma Maciunas “tutto è arte e tutti possono farne”.

     

    Accanto a Maciunas troviamo Dick Higgins, il quale sostiene che “Fluxus non è un movimento, un momento della storia, un’organizzazione. Fluxus è un’idea, un modo di vivere, un gruppo di persone non fisso che compie fluxuslavori”.

     

    Fluxus teorizza un modo di fare arte che è un fluire ininterrotto di situazioni, percezioni e molteplici esperienze estetiche e sperimentali aperto a qualsiasi linguaggio quali:

    pittura | scultura | happening | danza | musica | poesia | teatro | tecnologia

     

    George Maciunas organizzò tre conferenze musicali “Musica Antiqua et Nova” cui avrebbero aderito via via:

     

    Ken Friedman | Ben Patterson | Charlotte Moorman | Ben Vautier | Giuseppe Chiari | Sylvano Bussotti | Gianni Emilio Simonetti

     

    Nel 1962, Maciunas promosse il Fluxus festival allo Statische museum di Wiesbaden (Germania).
    Successivamente, nel 1963, fu organizzato anche il festival “Fluxorum fluxus” allestito alla Kunstakademie di Dusseldorf a cui presero parte:

     

    George Maciunas | Nam June Paik | Emmet Williams | Dick Higgins | Wolf Volstell | Daniel Spoerri | John Cage | Yoko Ono | Silvano Busotti

     

    Nel 1964 uscì il primo numero della rivista “CCV tre”, organo ufficiale del gruppo diretto da George Maciunas e George Brecht.
    Il movimento, aperto a tutti, si estese velocemente in tutta Europa ed anche nel resto del mondo; vi aderirono numerosi artisti tra i quali:

     

    Allan Kaprow | Robert Raushemberg | Robert Filliou | Christo | Jiri Kolar | La Monte Young | Henry Flint | Robert Watt | il gruppo giapponese Gutai | il gruppo delle Poesie Visive tra cui Lamberto Pignotti e molti altri.

     

    Nel 1991 ci fu una grande mostra a Venezia intitolata “Ubi fluxus ibi motus”.
    Oltre ad un movimento artistico espressivo, Fluxus può essere definito un atteggiamento nei confronti della vita, un tentativo di eliminare la linea di divisione tra esistenza e creazione artistica; gli artisti di Fluxus esprimono la casualità e la quotidianità delle cose: essi infatti non si basano sullo studio di oggetti privilegiati o sacri ma rappresentano l’arte attraverso un concetto ludico, abbandonando i valori estetici per concentrarsi su Humor e Non-sense.
    Proprio per l’interdisciplinarietà dei suoi eventi, Fluxus può contenere e inglobare svariate correnti artistiche, come per esempio la musica sperimentale, il nouveau réalisme, la video art, l’arte povera, il minimalismo, la poesia visiva e l’arte concettuale.

     

    Le opere d’arte di FLUXUS consistono infatti soprattutto di eventi o di assemblaggi che traggono spunto e materie dal quotidiano per ricombinarlo e ristrutturarlo in un nuovo orizzonte, talvolta sorprendente, sempre comunque anche con la collaborazione del caso, della parte non intenzionale dell’uomo.

    ARTE POVERA

    A Torino nel 1967, Il critico Germano Celant delinea il lavoro nuovo di una generazione di giovani artisti italiani, introducendo nel panorama delle correnti artistiche internazionale il movimento Arte Povera.

     

    I principali protagonisti del movimento sono:
    Michelangelo Pistoletto | Mario Merz | Jannis Kounellis | Luciano Fabro | Giovanni Anselmo | Pier Paolo Calzolari | Giulio Paolini | Alighiero Boetti | Giuseppe Penone | Gilberto Zorio | Emilio Prini | Piero Gilardi | Pino Pascali, con alcuni suoi lavori particolari

     

    I lavori dell’Arte Povera si contrappongono al concetto di rappresentazione, che da sempre è stato fondante per la ricerca artistica, in favore del “direttamente vissuto”.

     

    Ricercano un linguaggio attraverso il quale sia possibile “aprire un rapporto nuovo con il mondo e con le cose” ed in particolare con la natura; Celant affermava che “il luogo comune è entrato nella sfera dell’arte e l’insignificante ha iniziato ad esistere”.
    L’Arte Povera concepisce infatti un utilizzo completamente libero dei materiali, da quelli realmente poveri, vegetali, minerali, organici, come ad esempio carta, stracci, acqua, pietre, terra, fino alla tecnologia, come neon o semplici motori, a testimoniare non l’evoluzione della nostra società, ma i suoi strumenti banali e quotidiani.

     

    I poveristi vogliono però riscoprire la natura non solo fuori di sé, animali, vegetali, minerali, ma anche la natura dentro di sé, il proprio corpo, la propria memoria, i propri gesti, ogni elemento strettamente connesso con la sfera sensibile.

     

    La completa libertà di ricerca e di espressione rivendicata dagli esponenti del gruppo trovava i suoi precedenti in figure come Lucio Fontana, Alberto Burri e soprattutto Piero Manzoni, che aveva rivoluzionato in modo radicale i canoni tradizionali del fare arte.

     

    L’arte povera ebbe il suo centro principale a Torino, dove operavano le gallerie Christian Stein, Sperone e Notizie, che da subito sostennero gli esponenti del gruppo raggiungendo presto un’affermazione internazionale. Significativa in questo senso la partecipazione alla mostra ‘When Attitudes Become Form’, curata da Harald Szeemann nel 1969, che mostrò la vicinanza di intenti e di mezzi espressivi tra diverse tendenze emergenti, ascrivibili sotto le etichette di Arte Concettuale, Land Art e appunto Arte Povera.

     

    Nelle opere non interagiscono solo l’artista e il mondo, ma si ricerca anche un rapporto con lo spettatore che da puro fruitore del fatto estetico, viene chiamato in causa per partecipare attivamente al farsi dell’evento artistico. Pistoletto con il lavoro Zoo invade lo spazio cittadino con una sorta di teatro di strada; pure interessante “Globe”, una palla gigantesca completamente prodotta con giornali che l’artista spinge per le strade di Torino coinvolgendo ludicamente i passanti, il tutto ripreso e documentato in un cortometraggio dall’amico e artista Ugo Nespolo che all’epoca si appropria del linguaggio del cinema sperimentale.

     

    Ma troviamo anche la tecnologia con i tubi al neon di Mario Merz, gli animali vivi con i cavalli o il pappagallo di Kounellis, i tessuti su telaio di Alighiero Boetti, le performance inerenti al fuoco di Kounellis, i bruchi giganti di setola di Pascali, i tappeti natura di Gilardi.

    ARTE CINETICA E PROGRAMMATA

    Il movimento artistico di arte cinetica si sviluppa negli anni ’50 e ’60 in tutta Europa, proponendosi di introdurre il movimento nell’opera artistica.
    La corrente è una risposta ad una chiara esigenza di opposizione all’arte “informale” ed ha come caratteristica imprescindibile creare le condizioni per un lavoro di équipe, come modello ideale per un continuo processo di sviluppo artistico attraverso il quale l’opera viene considerata prima di tutto oggetto, luogo di ricerca, spazio della sperimentazione, dove si incontrano vari percorsi interpretativi della relazione tra soggetto e oggetto.

     

    La progettazione dell’opera è studiata nei particolari in funzione degli effetti sullo spettatore, considerata anche la possibilità di interazione di fattori aleatori o probabilistici e la sua moltiplicabilità seriale completandosi attraverso l’uso di tecniche produttive tipiche dell’industria.

     

    L’artista deve quindi possedere un’adeguata padronanza scientifica e tecnologica, nonché la consapevolezza che la sua arte non è basata sull’ispirazione, sul gesto, sulla materia, sul bisogno di esprimere il proprio Io, ma il modo di procedere sarà razionale, controllato, documentabile ed eseguibile in gruppo insieme a colleghi che possono essere tecnici, scienziati, ideologi.

     

    In Italia, tra le figure storiche di riferimento si è soliti considerare anzitutto Bruno Munari, che nel 1952 scriveva il Manifesto del macchinismo, nel quale le macchine erano ironicamente trattate come esseri viventi, produttrici esse stesse di arte a basso costo; secondo la sua poetica, infatti, l’artista avrebbe dovuto cambiare la concezione di sé come protagonista unico e totale dell’opera ma diventare operatore di una squadra che lavora secondo un progetto collettivo.
    Successivamente, si forma nell’ottobre del 1959 il “Gruppo T” di Milano con artisti come Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Grazia Varisco.
    Sempre alla fine degli anni ’50 si costituisce il “Gruppo N” di Padova, di cui le più importanti personalità artistiche Alberto Biasi, Edoardo Landi, Toni Costa, Manfredo Massironi, Ennio Chiggio.

     

    A Parigi, nel luglio 1960 nacque il GRAV (Groupe de recherche d’art visuel) con Julio Le Parc, François Morellet, Joël Stein, Jean-Pierre Yvaral, Horacio Garcia Rossi, Francisco Sobrino.

     

    A Roma, si forma il “Gruppo Uno” con Gastone Biggio, Nicola Carrino, Nato Frascà, Achille Pace, Pasquale Santoro, Giuseppe Uncini e l’appoggio critico di Giulio Carlo Argan.

     

    A Dusseldorf, nasce invece il “Gruppo Zero” con Heinz Mack, Otto Piene, Gunther Uecker.
    Uno sviluppo così differenziato nelle varie sedi ha determinato un fenomeno vitale e velocissimo; nel 1961 a Zagabria si forma il movimento “Nove Tendencije” e per sancire la nascita del nuovo indirizzo di ricerca, viene organizzata una mostra che raccoglie vari gruppi di tutta Europa.

     

    Nel 1962, la Olivetti organizzò nella propria sede milanese la rassegna Arte programmata, itinerante poi nelle sedi di Venezia, Roma, Trieste e New York.
    Negli Stati Uniti, l’arte cinetica e programmata prese il nome di Optical art che poi abbreviata a Op art raggiunse l’apice della fama internazionale.
    Il movimento è composto da artisti europei, americani e sudamericani.

     

    Tra gli artisti optical spiccano i nomi di:

    Victor Vasarely | Getulio Alviani | Paolo Scheggi | Jesus Raphael Soto | Yaacov Agam | Bridget Riley | Julio Le Parc | Carlos Cruz Diez

     

    Tra gli artisti di ricerca cinetica non sono da dimenticare Giovanni Anceschi, Franco Costalonga, Dadamaino, Jean Tinguely e Jorrit Tornquist.
    L’arte cinetica produce opere che sono aperte e programmate, nelle quali il movimento è fondamentale; esso può essere creato con l’apporto di meccanismi oppure illusorio e ottico o ancora tramite effetti di luce.

     

    Il coinvolgimento psicologico dello spettatore fa parte dell’opera stessa che, studiata nei minimi particolari ne prevede già l’intervento, la possibilità di interazione considerando fattori aleatori o probabilistici, addirittura statistici.