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Galleria di Arte Contemporanea a Castiglioncello
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    energia schifano

    Per Schifano dipingere era come respirare. E questo spiega la quantità incredibile di lavori che ha lasciato dietro di sé, quella sorta di voracità dello sguardo che lo portava a cercare di portare tutto in pittura; c’è una frenesia che sfida quasi la stessa capacità dell’occhio di intercettare le cose.

    “C’è in ogni sua opera brivido di movimento, fremito di ribellione contro il rischio della decorazione, c’è vita, mai staticità, morte” scrive Claudio Pamiggiani.

    BIOGRAFIA

    MARIO SCHIFANO nasce a Homs in Libia il 20 settembre 1934.

    Dopo il trasferimento della famiglia a Roma il giovane Schifano dapprima lavora come commesso e in seguito affianca il padre, archeologo restauratore al Museo Etrusco di Valle Giulia. Comincia nel frattempo la sua attività artistica come pittore. I suoi debutti sono nell’ambito della cultura informale con tele ad alto spessore materico, solcate da un’accorta gestualità. Con opere di questo genere inaugura la sua prima personale nel 1959 alla Galleria Appia Antica di Roma. É comunque in occasione della mostra del 1960 alla Galleria La Salita in compagnia di Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini, che la critica comincia a interessarsi del suo lavoro. Abbandonata l’esperienza informale, ora dipinge quadri monocromi, grandi carte incollate su tela e ricoperte di un solo colore, tattile, superficiale, sgocciolante.

    Il dipinto diventa “schermo”, punto di partenza, spazio di un evento negato in cui, qualche anno dopo, affioreranno cifre, lettere, frammenti segnici della civiltà consumistica, quali il marchio della Esso e della Coca-Cola. Nel 1962 Schifano è negli Stati Uniti; conosce da vicino la Pop Art, resta colpito dall’opera di Dine e Kline; sue opere saranno esposte alla Sidney Janis Gallery di New York nella mostra “The New Realist”. Ritornerà negli Stati Uniti sul finire del 1963, dopo aver allestito diverse personali in alcune delle grandi città europee (Roma, Parigi e Milano).

    Nel 1964 viene per la prima volta invitato alla Biennale di Venezia. L’artista opera ora per cicli tematici: i paesaggi anemici, la rivisitazione della storia dell’arte e verso la fine del 1964 accentua quell’interesse verso la rivisitazione della storia dell’arte che Io porterà, l’anno successivo, ai notissimi pezzi dedicati al Futurismo. Nello stesso 1965 realizza “lo sono infantile”, un’opera legata alle illustrazioni destinate all’infanzia, che rappresenta pure il ritorno – tutto mentale – a una dimensione temporale lontana, eppure sempre presente nell’arte di Schifano.

    É attratto dalle immagini prelevabili dai mezzi di comunicazione di massa e quindi patrimoni della collettività. Si occupano di questa fase del lavoro di Schifano tanto critici attenti, come Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo e Alberto Boatto, quanto scrittori illustri, quali Alberto Moravia e Goffredo Parise. Allo Studio Marconi presenta nel 1967 il lungometraggio “Anna Carini vista in agosto dalle farfalle”, cui farà seguito la trilogia di film composta da “Satellite”, “Umano non umano”, “Trapianto”, “consunzione e morte di Franco Brocani”.

    Le sue prime esperienze cinematografiche, portate avanti parallelamente a quelle pittoriche, risalgono comunque al 1964 e da queste subito si evince l’attenzione critica che l’artista presta all’ininterrotto flusso di immagini prodotto dalla nostra civiltà tecnologica in cui il reale viene sempre sostituito dal suo “doppio”, sia esso fotografico o televisivo o cinematografico. Fra il 1966 e 1967 realizza le serie “Ossigeno ossigeno”, “Oasi”,”Tuttestelle” “Compagni, compagni”. Partecipa a una collettiva alla Galleria La Salita dove non espone dipinti ma proietta fotogrammi sulla guerra del Vietnam.

    Ed è proprio l’interesse per la storia contemporanea e il suo impegno civile che lo porterà a una crisi ideologica e d’identità tale da dichiarare di voler abbandonare la pittura. Nel 1970 insieme a Tonino Guerra, sceneggiatore di Carlo Ponti, si reca per l’ultima volta in America, per effettuare i sopralluoghi del film, “Laboratorio umano”, poi mai realizzato. Tornato in Italia, spazientito dai tempi lunghi delle dinamiche cinematografiche, inizia la serie dei Paesaggi TV dove trasferisce su tela le immagini televisive con la tecnica dell’emulsione fotografica. Inizialmente sono le fotografie eseguite negli Stati Uniti a essere oggetto di rielaborazione (che daranno vita a opere come Pentagono, Medal of Honor, Era Nucleare, le sale di trapianto a Huston, la Nasa, Alamo Gordo dall’Archivio di Los Alamos), poi il patrimonio di immagini che quotidianamente e incessantemente trasmettono le stazioni televisive. Non è la cultura della TV che gli interessa, ma la cultura che si sviluppa a partire dall’immagine televisiva. Viaggia in Laos e in Thailandia, e successivamente in Africa.

    Nell’elaborazione delle opere l’artista predilige l’uso di colori di produzione industriale per la loro capacità di conservare l’iniziale brillantezza e di asciugare con rapidità, consentendogli di dipingere l’immagine nell’istante veloce della sua apparizione e una produzione di opere più estesa. Gli “Omaggi”, ciclo di lavoro che si apre e si chiude negli anni 70, rappresentano un momento in cui l’attività di Schifano si rivolge verso la stessa storia della pittura, storia eminentemente contemporanea s’intende, la quale viene reinterpretata e rivitalizzata. Nel 1971 partecipa alla mostra “Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-70”, curata da Achille Bonito Oliva; in seguito tiene personali a Roma, a Parma, a Torino e a Napoli ed è presente alla X Quadriennale di Roma e a Contemporanea, rassegna allestito nel parcheggio di Villa Borghese, sempre a Roma e ancora a cura di Bonito Oliva.

    Nel 1974 l’Università di Parma gli dedica una vasta ontologica di circa 100 opere che consentono di leggere per intero la sua avventura pittorica e definirne le linee portanti.Il Palazzo della Pilotta (Salone delle Scuderie) di Parma ospita la prima importante retrospettiva di Schifano, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, che permette di leggere per intero l’ampiezza del suo lavoro. Una crisi ideologica ed esistenziale lo costringe a periodi di isolamento nel suo studio dove realizza dei “d’après” reinterpretando Magritte, De Chirico, Boccioni, Cézanne, Picabi Nel 1976 Schifano partecipa alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Bologna alla mostra “Europa / America, l’astrazione determinata 1960-76”. Nel 1978 è invitato nuovamente alla Biennale di Venezia con la serie “Al mare”e “Quadri equestri”, opere dipinte con estrema grazia e leggerezza, costituiscono l’esempio di una ritrovata freschezza creativa. Presenta alla Tartaruga di Roma “Il capolavoro sconosciuto”, rielaborazione del noto omonimo racconto di Balzac.

    Nel 1979 diverse sue opere sono in mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara mentre l’anno successivo viene invitato da Maurizio Calvesi alla mostra “Arte e critica 1980”, allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel 1981 Germano Celant selezionò alcune opere di Schifano per l’esposizione “Identitè italienne” organizzato al Centre George Pompidou di Parigi. Sono di quel periodo i cicli intitolati “Architetture”, “Cosmesi”, “Biplani” e “Orti botanici”. Le sue opere compaiono nella rassegna Avanguardia/Transavanguardia alle Mura Aureliane del 1982. Marco Meneguzzo cura una sua personale alla Loggia Lombardesca di Ravenna.

    Concepisce una sequenza di dipinti di grandi dimensioni tra cui Biciclette e Ballerini. É presente alle edizioni del 1982 e del 1984 della Biennale di Venezia. In questo periodo tiene inoltre personali al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e al Padiglione d’arte Contemporanea di Ferrara, dove, sotto il titolo “Inventano con anima e senz’anima”, raccoglie una serie di tele che rappresentano la summa della sua ricerca in ambito naturalistico. Quest’ultima mostra diverrà poi itinerante, toccando diverse città italiane, per giungere infine in Francia, al Centre d’Art Contemporain di Saint Priest (1992). L’attenzione per il naturale caratterizza tutta l’attuale ricerca di Schifano: paesaggi, gigli d’acqua, campi di grano, movimenti del mare, distese di sabbia sono ricreati, reinventati, filtrati attraverso ricordi, pulsioni, sensazioni, affioramenti del profondo, sequenze di immagini veicolate da apparecchi televisivi, dalla pubblicità, dai rotocalchi, e si configurano pertanto come geografie della memoria. Nel 1985 a Firenze, in Piazza Santissima Annunziata, dipinge davanti a seimila persone La chimera, un’opera monumentale di quattro metri per dieci, inaugurando la rassegna sugli Etruschi.

    Si sposa con Monica De Bei da cui ha il figlio Marco, la sua pittura si fa più densa e più ricca di suggestioni. Nel 1989 è tra i protagonisti della rassegna Arte italiana del XX secolo, organizzata dalla Royal Academy di Londra. Sue personali sono allestite al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara. Nel 1990 il Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione della sua riapertura, gli dedica una rassegna intitolata “Divulgare”, con opere di grande formato realizzate per l’occasione. Tre anni dopo presenta in diverse gallerie italiane il ciclo “Reperti”, dedicato agli animali del mondo preistorico, tema i cui primi esemplari erano già comparsi nella personale da Maeght.

    La Biennale di Venezia del 1993, curata da Achille Bonito Oliva, gli offre una sala personale nella sezione “Slittamenti”. Nel 1994 partecipa alla rassegna The Italian Metamorphosis, 1943-1968, organizzata dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Nel 1996 Schifano rende un omaggio alla sua Musa ausiliaria, ovvero alla televisione, intesa quale flusso continuo di immagini in grado di strutturarsi come vera e unica realtà totalizzante della nostra epoca. Se alla fine degli anni Sessanta si limitava a estrapolare dai programmi televisivi dei singoli fotogrammi e a proiettarli decontestualizzati sulla tela, ora, invece, interviene sulle immagini pittoricamente mutandole ulteriormente di senso.

    Allestisce con una quarantina di tele di questo genere e un migliaio di fotografie ritoccate a mano, una grande mostra che è stata ospitata dapprima presso la Fondazione Memorial da America Latina di San Paolo del Brasile (1996), poi presso il Museo di Belle Arti di Buenos Aires (1997); nel corso del 1998 sarà presentata alla Fondazione Wifredo Lam dell’Avana e a Città del Messico.

    Le opere di questi anni testimoniano il suo interesse per la scienza e per la tecnologia, la Stet gli commissiona di disegnare l’immagine integrata della società, Schifano coglie immediatamente le possibilità di Internet che, con il suo accesso illimitato, estende le possibilità espressive delle arti visive, la novità delle fibre ottiche che velocizzano la comunicazione, tanto da dedicargli un’opera che ne diventa il simbolo. Durante uno dei viaggi in Brasile compie un happening nella favela di Rio de Janeiro, dipingendo di bianco una baracca come protesta alla disposizione del sindaco di dipingere di verde tutte le favelas per uniformarle e renderle “invisibili”.

    Nel 1997 partecipa a Minimalia che si tiene al Palazzo Querini Dubois di Venezia. Nello stesso anno, in occasione del settimo centenario della edificazione di Santa Croce a Firenze, Schifano ottiene il Premio San Giorgio di Donatello per aver realizzato le vetrate policrome collocate nella cripta della Basilica. Schifano muore a Roma il 26 gennaio 1998.

    LA POP ART

    La pop art è un movimento artistico che inizia a delinearsi in Inghilterra nel 1952 attraverso i lavori di Hamilton e Paolozzi per poi precisarsi negli Stati Uniti per opera di Warhol, Linchestein, Dine, Oldenburg, Wesselmann, Rivers, Segal, Rosenquist e svilupparsi contestualmente nel resto d’Europa. Pop art deriva dalla parola inglese “popular art” ovvero arte popolare.

    Partendo da una riflessione sulla loro contemporaneità, caratterizzata dall’abbondanza di merci e dalla presenza sempre più massiccia dei media, gli artisti pop prelevano i loro materiali , immagini, oggetti da quello che rappresentano nella realtà per creare l’opera. La Pop Art attinge i propri soggetti dall’universo del quotidiano e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili. In Europa trova subito grande risonanza grazie alla Biennale di Venezia del 1964 che la rappresenta in maniera più spettacolare e che assegna a Robert Rauschemberg, il premio della giuria.

    Gli artisti europei prendono parte alla corrente in maniera diversa rispetto a quelli americani trovando una propria identità. Gli italiani elaborano un linguaggio che della pop art assume valenze più umanistiche e letterarie, rispecchiando così le varie autonomie culturali e la sensibilità dei singoli.

    Proponendo ognuno punti di vista originali, eterogenei, in alcuni casi anche critici della pop art americana creano un clima in cui le influenze d’oltre oceano sono filtrate attraverso l’ironia e la storia, il passato e la contemporaneità, la cultura e la memoria.

    Ne fa parte il gruppo romano della Scuola di piazza del Popolo: Tano Festa, Franco Angeli, Mario Schifano, Mario Ceroli, Fabio Mauri, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis; e poi ancora: Valerio Adami, Emilio Tadini, Alik Cavaliere, Lucio Del Pezzo, Titina Maselli, Pino Pascali, Claudio Cintoli, Beppe Devalle, Concetto Pozzati, Umberto Buscioni,Renato Mambor, Ugo Nespolo, Sergio Lomberdi, Aldo Modino, Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto, Enrico Baj e Domenico Gnoli

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