Arte cinetica e programmata
21 maggio 30 giugno 2016
Bruno Munari | Gianni Colombo | Davide Boriani | Grazia Varisco | Julio Le Parc | Horacio Garcia Rossi | Hugo Demarco | Alberto Biasi | Edoardo Landi | Manfredo Massironi | Franco Costalonga | Dadamaino | Mario Ballocco | Marina Apollonio | Ludwig Wilding | Hartmut Böhm | Franco Grignani |Marcello Morandini | Jorrit Tornquist | Marcello De Angelis
Un percorso espositivo che, con opere uniche, attraversa momenti e ruoli diversi dell’Arte Cinetica e Programmata internazionale a partire dagli anni ’60 fino alle interpretazioni più contemporanee.
Bruno Munari e ….
GRUPPO T Gianni Colombo- Grazia Varisco – Davide Boriani
GRUPPO N Marina Apollonio- Alberto Biasi- Manfredo Massironi-Franco Costalonga- Edoardo Landi
GRAV Julio Le Parc – Horacio Garcia Rossi – Hugo De Marco
… e poi ancora:
Dadamaino, Hartmut Böhm, Ludwig Wilding, Mario Ballocco, Franco Grignani, Jorrit Tornquist, Marcello De Angelis, Marcello Morandini.
Creative Eye, un percorso espositivo che, con opere uniche, attraversa momenti e ruoli diversi dell’Arte Cinetica e Programmata internazionale a partire dagli anni ’60 fino alle interpretazioni più contemporanee.
Fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta inizia a delinearsi un nuovo orientamento estetico in linea con il momento storico caratterizzato da importanti ricerche scientifiche con conseguente mutamento della struttura sociale.
Bruno Munari già nel 1952 scrive il “Manifesto del macchinismo” dove parla delle macchine come di esseri viventi, ironizzando sul fatto che già in quegli anni se ne cominciava a prendere cura come se fossero animali domestici. Inoltre teorizza che in futuro l’uomo potrebbe anche diventare schiavo delle macchine e che gli unici che possono salvare il genere umano da questa prospettiva sono proprio gli artisti. Gli artisti secondo Bruno Munari dovevano abbandonare tela, colori e scalpello e cominciare a fare arte con le macchine. La sua profezia si avverò proprio con l’arte cinetica e programmata.
L’artista deve “distrarre” le macchine dal loro funzionamento razionale, e deve farle diventare macchine “inutili”: questo passaggio rivela già la poetica di Bruno Munari che realizzerà tutta una serie di opere chiamate appunto “Macchine inutili”. Nella straordinaria visione profetica di Bruno Munari era già espressa l’esigenza che l’artista dovesse diventare un operatore di una squadra, che lavora insieme ad altri collettivamente e che concepisce opere d’arte lucidamente e con progetti ben definiti, doveva finire l’epoca dell’artista fulcro unico e protagonista totale dell’opera.
Contro l’idea, ancora romantica, dell’artista come genio isolato e spesso dannato, fortemente sponsorizzata da correnti informali come l’Action Painting, lavorano artisti quali Munari, Vasarely, Mavinger, Mari e molti altri, e si creano una serie di gruppi, che decidono di lavorare fianco a fianco, in tutto il mondo. L’essere gruppo implica un nuovo metodo di lavoro per l’artista che non è più il creativo isolato che mette sulla tela il proprio Io, ma diventa un tecnico della visione che collabora con altri tecnici alla creazione di un progetto. Il fatto di lavorare in gruppo permette di evitare i patetismi del singolo e di utilizzare invece un linguaggio nuovo, universale, pulito, scientifico. Cambiano di conseguenza i materiali con cui si lavora, non c’è più scalpello o pennello, si usano invece motori, meccanismi elettronici, luci, acciaio, superfici trasparenti, riflettenti, gomme.(1) Si definisce una nuova figura di artista capace di interagire con la nuova struttura sociale in rapida trasformazione.
Si forma nell’ottobre del 1959 il Gruppo T di Milano con artisti come Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Grazia Varisco; sempre alla fine degli anni ’50 si costituisce il Gruppo N di Padova, di cui le più importanti personalità artistiche Alberto Biasi, Edoardo Landi, Toni Costa, Manfredo Massironi, Ennio Chiggio.
A Parigi nel luglio 1960 nacque il GRAV (Groupe de recherche d’art visuel) con Julio Le Parc , François Morellet, Joel Stein, Jean-Perre Yvaral, Horacio Garcia Rossi, Francisco Sobrino, anticipato poco prima dal CRAV (Centre de recherche d’Art Visuel) di cui faceva parte anche Hugo Demarco, poi uscito dalla compagine.
A Roma, si forma il Gruppo Uno con Gastone Biggio, Nicola Carrino, Nato Frascà, Achille Pace, Pasquale Santoro, Giuseppe Uncini e l’appoggio critico di Giulio Carlo Argan. A Dusseldorf, nasce invece il Gruppo Zero con Heinz Mack, Otto Piene, Gunther Uecker. Uno sviluppo così differenziato nelle varie sedi ha determinato un fenomeno vitale e velocissimo; nel 1961 a Zagabria nasce Nove Tendencije e per sancire la nascita del nuovo indirizzo di ricerca, viene organizzata una mostra che raccoglie vari gruppi di tutta Europa.
Nel 1962 la Olivetti organizzò nella propria sede milanese la rassegna Arte programmata, itinerante poi nelle sedi di Venezia, Roma, Trieste e New York.
Negli Stati Uniti, l’arte cinetica e programmata prese il nome di Optical art , abbreviata a Op art raggiunse l’apice della fama internazionale. Il movimento è composto da artisti europei, americani e sudamericani.Tra gli artisti optical spiccano i nomi di Victor Vasarely ,Getulio Alviani, Paolo Scheggi, Jesus Raphael Soto, Yacov Agam, Bridget Riley, Julio Le Parc, Carlos Cruez Diez.
Inoltre vi sono artisti attivi singolarmente che attraversano percorsi più svariati ma che contribuiscono notevolmente alla ricerca cinetica:
Giovanni Anceschi, Mario Ballocco, Dadamaino, Franco Grignani, Franco Costalonga Jean Tinguely, Jorrit Tornquist, Hartmut Bhom, Ludwig Wilding, Hans Jorg Glattfelder e più recentemente Marcello Morandini, Ennio Finzi, Marcello De Angelis.
Umberto Eco definisce questo tipo di lavoro “opera aperta”, perché la sua forma viene in ultima analisi completata e finita dalla stessa percezione di chi la guarda e solo lì prende realmente forma. C’è un livello di necessità quasi scientifica, data dagli studi delle reazioni a livello percettivo delle forme presenti nell’opera, e un livello di libertà estrema nella azione/reazione del singolo visitatore.(…)La maggior parte delle opere programmate hanno al centro un’idea di movimento, sia come movimento reale sia come movimento percepito. Si possono individuare tre grandi tipologie di opere: quelle immobili, che per il loro disegno generano un’impressione di movimento nello spettatore, le opere che lo spettatore è chiamato a muovere, e quelle che si muovono da sole.
Grazie al movimento entra nell’opera anche la variabile del tempo, in cui si manifesta e realizza tutto ciò che l’artista ha già messo in nuce, ha cioè già programmato. Come dice Angela Vettese in Milano et Mitologia, catalogo di un’importane mostra sul decennio tra il 1953 e il 1963 a Milano: “La posizione assunta, da estetica, si fa anche etica ed ideologica: l’instabilità e la variabilità delle opere impone all’osservatore di abbandonare ogni pigrizia mentale, in senso letterale e forse anche politico”.
É la stessa dinamica analizzata da Anceschi nel testo per la sua personale alla Galleria Pater di Milano, nel 1960: “ Il mondo di cui facciamo esperienza ogni giorno è qualcosa di imprecisabile, instabile, fluido, mutevole (…) vogliamo sapere prima, vogliamo poggiare i nostri piedi borghesi su qualcosa di solido (…) restiamo sconcertati quando la nostra piccola, calda, accogliente costruzione di pregiudizi non ci basta più. (…) Quindi, considerando l’opera come una realtà fatta con gli stessi elementi che costituiscono quella realtà che ci circonda, è necessario che l’opera stessa sia in continua variazione”. Ecco perché il movimento dell’opera è così importante, perché è il movimento del reale di cui siamo parte.