Galleria Granelli
Galleria di Arte Contemporanea a Castiglioncello
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      -  Slide   -  Angeli Festa Schifano – 2014

    Anni ’60 ’70
    24 Maggio – 4 Luglio 2014

    “Schifano stava con i pittori Franco Angeli , Tano Festa, Lo Savio, che giravano tutti in zona, infatti poi si è chiamata la scuola di Piazza del Popolo….entravano stanchi , annoiati, con la puzza sotto il naso, vestiti di scuro….Li odiarono subito i pittori che c’erano già nella mia galleria…perché gli artisti sentono prima dei critici il valore di un altro” (Plinio De Martis).

    Galleria Granelli, con la mostra “ANGELI, FESTA,SCHIFANO anni ’60 ‘70” con 30 opere uniche, torna a rendere omaggio a tre personaggi autonomi nelle loro intuizioni e accomunati da un’unica energia rivoluzionaria: eclettici, sperimentatori indimenticabili del panorama artistico internazionale…

    BIOGRAFIE DEGLI ARTISTI

    FRANCO ANGELI nasce a Roma nel 1935 da famiglia di umili origini e solida tradizione socialista e antifascista. Il nome di battesimo è Giuseppe, in arte Franco. Terzo di tre fratelli, non porta a termine gli studi elementari a causa della guerra.
    1941 causa la morte del padre, Franco Angeli è costretto a provvedere alla madre malata, inventando i lavori più disparati: porta carretti al mercato, diviene ragazzo-spazzola presso un barbiere, lavora in una lavanderia, infine in un’ autotappezzeria. Dì lì, secondo Gino De Dominicis, nasce l’uso delle velatine.

    Le calze, presenti nei primi quadri, sono spesso regalate da amiche. Ottimo tappezziere, generalmente prepara da sé le tele dei quadri. Non frequenta scuole di pittura e nel 1949 Muore la madre, evento che lo segna profondamente. Il fratello Otello, futuro segretario del Partito Comunista di Cinecittà, lo educa secondo precisi orientamenti politici. 1957 nascono i primi lavori: l’esigenza di dipingere esplode come affermazione di libertà.

    Il bombardamento di San Lorenzo, a cui assiste quale testimone lo turba profondamente, improntando la futura pittura dove, con l’uso di materiali come garze e cromatismi rosso cupo denunciano un forte debito verso Burri. 1950 Franco Angeli ha la prima collettiva, alla Galleria La Salita, di Roma, con Festa e Uncini. 1960 è la sua prima personale, alla Galleria La Salita. Il fratello Otello organizza il Premio di Pittura Cinecittà, dove un monocromo dell’artista, su tela di iuta, viene rifiutato della commissione composta, tra gli altri, da Guttuso, Trombadori e Del Guercio. Opere quali Accattoni, di quell’anno, denotano tangenze con la poetica dell’informale.

    1961/62 Franco Angeli partecipa con Lo Savio, Festa e Schifano alla mostra Nuove prospettive della pittura italiana, a Palazzo Re Enzo di Bologna. Diviene amico di Schifano, conosciuto nella sezione del partito: li accomuna l’estrazione popolare, il senso radicato della realtà, l’esigenza di andare oltre le esperienze informali. Si tratta di una generazione di artisti unita da uno stretto legame esistenziale segnato dalla guerra: vengono definiti maestri del dolore, una qualifica che li distanzia dall’Arte Pop, alla cui estraneità fa riferimento una lettera autografa dello stesso Angeli. Negli anni successivi diviene poi amico di Renato Guttuso e poi di Arnaldo Pomodoro e del poeta Francesco Serrao.

    1963 alla Galleria J di Parigi, le sue opere sono di fianco a quelle di Bruce Conner, Michael Todd, Christo e Kudo: catalogo a cura di Pierre Restany. Alla Galleria La Tartaruga, in Piazza del Popolo, partecipa ad una storica collettiva: 13 pittori a Roma. L’opera di Angeli è glossata da un testo poetico di Nanni Balestrini.

    1964, alla Galleria L’Arco di Alibert, di Roma, presenta Frammenti capitolini: si tratta di lupe, aquile, frammenti di simbologia collettiva. Partecipa alla Biennale di Venezia, presentato da Calvesi: è la storica Biennale della Pop Art in Italia. L’artista presenta La lupa e Quarter Dollar. 1965 Franco Angeli è invitato alla nona Quadriennale romana: di questo periodo sono i Cimiteri partigiani, corredati di stelle e falci e martello. 1967 Franco Angeli presente alla Biennale di San Paolo del Brasile con Half dollar: il famoso mezzo dollaro, zoomato nei particolari.

    1968/70 vi è un grande impegno politico e ideologico, che lo vedono impegnato sul tema della guerra del Vietnam. Conosce Marina Ripa Di Meana, in occasione del Festival di Spoleto. Con la donna intreccia una tumultuosa relazione poi sfociata in fedele amicizia. E’ lei in più occasioni a rimarcare dell’artista il lato profondamente umano, la creatività svincolata da ogni logica di mercato, la vita bohemien costellata di debiti, il desiderio di morire giovane, non toccato dal cinismo che le delusioni e i disinganni inducono nel tempo.

    1972 presenta alcuni interessanti lavori alla Galleria Sirio per la rassegna Film. Comincia ad apparire nella sua produzione il volto di Marina Ripa di Meana, in concomitanza con i temi dell’aereo, degli obelischi, dei piccoli paesaggi. Espone alla X Quadriennale di Roma. 1975 Conosce Livia Lancellotti, che diviene sua compagna e gli darà, nel ’76 una figlia, Maria. Diviene amico di Jack Kerouac, raccolto sanguinante da un bar da cui viene espulso ubriaco. Ospitato nello studio di via Germanico, si cimenta con l’artista nella composizione di un’opera La deposizione di Cristo, poi acquistata da Gian Maria Volonté. 1978 partecipa alla Biennale di Venezia, curata da Bonito Oliva nella sezione L’iconosfera urbana. Vi presenta anche un cortometraggio.

    1981 viene invitato con alcuni disegni, accanto a Dorazio, De Chirico, Fontana, Guttuso, Maccari, Modigliani, Morlotti, Pozzati, e altri, ad una collettiva presso la Galleria La Scaletta di Reggio Emilia. 1982 partecipa alla collettiva 30 anni d’arte italiana 1950-80, organizzata a Villa Manzoni, Lecco. Compone opere improntate all’influenza di Kees Van Dongen (Pensando a Van Dongen). 1984 comincia l’epoca delle Marionette, sorta di autoritratto ironico dell’artista, poi esposte al Belvedere di San Lucio. 1986 Franco Angeli partecipa alla XI Quadriennale romana. 1988 gli viene dedicata una retrospettiva alla Casa del Machiavelli (1958-72) nei pressi di Firenze. Presentato da Marisa Vescovo, espone alla Galleria Rinaldo Rotta di Genova. Viene invitato al Circolo Culturale Giovanni XXIII per la Biennale di Arte Sacra: con lui, Enzo Cucchi, Sandro Chia, Mimmo Paladino e Mario Schifano. Nello stesso anno, Franco Angeli muore di Aids all’età di 53 anni. Il funerale si celebra nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, scelta dalla compagna Livia per l’amore sconfinato dell’artista nei confronti di Caravaggio (uno degli altari è infatti sovrastato da La conversione di Paolo).

    TANO FESTA
    nasce a Roma il 2 novembre 1938.

    Fratello di Francesco Lo Savio , frequenta l’istituto d’Arte a Roma e si diploma nel corso di Fotografia Artistica nel 1957. Si formò sull’esempio di C. Twombly e della pittura gestuale e informale. Non passerà molto tempo da questa data che già nel 1960 è alle prese con la sua prima mostra, una collettiva alla Salita di Liverani in Roma. In quegli anni gli incontri erano già avvenuti: Festa era amico di Franco Angeli sin dalla fine degli anni ’50, mentre Francesco Lo Savio era amico di Mario Schifano.

    Fondamentale per la sua carriera è la partecipazione insieme a Schifano, Baj e Rotella alla mostra intitolata “The New Realist” a New York su invito di Sidney Janis. Proprio in quell’anno , nel 1960 la Galleria Odyssia organizza con Francesco Arcangeli, Valsecchi e Argan una mostra della “new generation in Italy” a New York. Fra i molti artisti presenti in quella mostra americana: Bendini, Dorazio, Guerreschi, Perilli, Pomodoro, Scanavino e altri ancora. Solo un paio di anni prima (1958) Milano aveva ospitato “la nuova pittura americana” al Padiglione d’Arte Contemporanea.

    Erano gli esordi di anni “effervescenti”, anni nei quali Roma sembrò essere la città che , meglio delle altre, seppe interagire con i nuovi afflati artistici internazionali, in particolar modo con gli USA. La così detta “Scuola di Pazza del Popolo” prima di ottenere tale nome con diritto, dovette attendere il 1963, anno in cui la Galleria La Tartaruga si trasferì nella piazza suddetta divenendo il centro di coagulo delle effervescenze romane. In quella occasione il gallerista Plinio De Martiis, organizzò una mostra che vide allineati nelle pareti del nuovo spazio espositivo Angeli, Bignardi, Festa, Fioroni, Kounellis, Mambor, Mauri, Novelli, Perilli, Rotella, Saul, Tacchi e Twombly ; il titolo dell’esposizione era “13 artisti a Roma”. É il periodo degli “Oggetti” di Tano Festa, della costruzione, meglio dell’utilizzo degli oggetti estrapolati dal contesto usuale.

    Nel 1964 arriva la prima Biennale di Venezia, dove viene esposta (per la prima volta) una delle sue “Persiane”, di chiara ispirazione Metafisica e New Dada. La scelta del soggetto si intreccia profondamente con la vicenda personale dell’artista: l’anno precedente infatti, Francesco Lo Savio, fratello maggiore di Tano Festa, aveva cercato la morte in un albergo a Marsiglia. La sua morte, sentita come tragica ed eroica, cambia radicalmente l’arte di Tano Festa che, influenzata da un modo malinconico, quasi crepuscolare, di vedere gli oggetti intorno a sé, sottolinea la valenza metafisica degli oggetti che segnano il confine della nostra mortalità: non a caso Festa ricostruisce in legno soprattutto “soglie”.

    Negli stessi primi anni ’60 Tano Festa si sofferma sui maestri della tradizione italiana e del Rinascimento, in particolare il Michelangelo della Sistina e delle Cappelle medicee; interviene col colore su fotografie o ridipinge a smalto immagini proiettate sulle tele, interpretandole come icone pubblicitarie. Esse rivivono, sovente iterate, in una nuova spaesante dimensione di clima vagamente surreale, ma con immediata suggestione di lettura.

    A New York inizia il lavoro sui “Cieli” ciclo condotto a termine in Italia e presentato a Milano nella mostra Il Planetario nel 1966. Nel 1966 Milano dedicò un’importante mostra al cinquantenario del Dadaismo(1916-1966); Festa fu tra i pittori giovani invitati, e il contatto visivo con Arp e Man Ray fu di certo di estrema significazione. Nel 1967 Festa espone ad “Arte in Italia 1960-77” a Torino. Inserisce nuovamente icone famose prelevate dalla storia dell’arte in riquadri geometrici o maschere di colore piatto, senza alcuna componente ironica, pensiamo alle raffigurazioni in chiave moderna dei suoi “Michelangelo”.

    Nel 1970 Tano Festa si sposa con Emilia Emo Capodilista, con la quale avrà due figlie; il matrimonio si romperà dopo tre anni. Gli inizi degli anni ’70 lo vedranno tramutare gli oggetti in dipinti di oggetti. Di quegli anni sono la realizzazione a riporto fotografico di una serie di piazze riprese da foto degli Alinari, a cui seguono ririproduzioni di opere del passato sino ad arrivare alla “periodicizzazione” di frammenti della Cappella Sistina ; il riporto fotografico era realizzato sia su carta che su tela in collaborazione con lo Studio di Mimmo Capone. Partecipa a due mostre importanti Vitalità del negativo (sintesi dell’arte italiana dal ’60 al ’70) e Contemporanea (panorama storico internazionale dal ’55 al ’73) , curate da Achille Bonito Oliva.

    Dal 1978 in poi su Tano Festa scende il silenzio, seppur presente nelle Biennali e negli appuntamenti più importanti, l’artista viene quasi dimenticato. L’impegno costante e la continua ricerca lo portò ad elaborare nuovi temi e nuovi linguaggi. Così, agli inizi degli anni ’80 , Tano Festa arriverà ai famosi Coriandoli che saranno una sorta di abbandono del passato. Con queste opere dà una svolta alla sua poetica, in qualche modo rompe con le immagini del passato per risvegliare una creazione visionaria ricca di vitalità creatrice, libertà fantasticata e sempre teorizzata con la quale raggiunge una purezza sublime. Tano Festa riconquista in questo periodo l’attenzione e il riconoscimento da parte della critica. Nel 1980, 1984 Tano Festa è invitato alla Biennale di Venezia . La sua magia si interrompe il 9 gennaio 1988. Nel 1989 un anno dopo la sua morte si inaugura la monumentale “Finestra sul mare”, visibile sul lungomare di Villa Margi , tra Palermo e Messina, ideata da Tano Festa in ricordo del fratello Francesco Lo Savio. Nel 2013 alla biennale di Venezia di nuovo un riconoscimento al grande Tano Festa.

    MARIO SCHIFANO nasce a Homs in Libia il 20 settembre 1934.

    Dopo il trasferimento della famiglia a Roma il giovane Schifano dapprima lavora come commesso e in seguito affianca il padre, archeologo restauratore al Museo Etrusco di Valle Giulia. Comincia nel frattempo la sua attività artistica come pittore. I suoi debutti sono nell’ambito della cultura informale con tele ad alto spessore materico, solcate da un’accorta gestualità. Con opere di questo genere inaugura la sua prima personale nel 1959 alla Galleria Appia Antica di Roma. É comunque in occasione della mostra del 1960 alla Galleria La Salita in compagnia di Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini, che la critica comincia a interessarsi del suo lavoro. Abbandonata l’esperienza informale, ora dipinge quadri monocromi, grandi carte incollate su tela e ricoperte di un solo colore, tattile, superficiale, sgocciolante.

    Il dipinto diventa “schermo”, punto di partenza, spazio di un evento negato in cui, qualche anno dopo, affioreranno cifre, lettere, frammenti segnici della civiltà consumistica, quali il marchio della Esso e della Coca-Cola. Nel 1962 Schifano è negli Stati Uniti; conosce da vicino la Pop Art, resta colpito dall’opera di Dine e Kline; sue opere saranno esposte alla Sidney Janis Gallery di New York nella mostra “The New Realist”. Ritornerà negli Stati Uniti sul finire del 1963, dopo aver allestito diverse personali in alcune delle grandi città europee (Roma, Parigi e Milano).

    Nel 1964 viene per la prima volta invitato alla Biennale di Venezia. L’artista opera ora per cicli tematici: i paesaggi anemici, la rivisitazione della storia dell’arte e verso la fine del 1964 accentua quell’interesse verso la rivisitazione della storia dell’arte che Io porterà, l’anno successivo, ai notissimi pezzi dedicati al Futurismo. Nello stesso 1965 realizza “lo sono infantile”, un’opera legata alle illustrazioni destinate all’infanzia, che rappresenta pure il ritorno – tutto mentale – a una dimensione temporale lontana, eppure sempre presente nell’arte di Schifano.

    É attratto dalle immagini prelevabili dai mezzi di comunicazione di massa e quindi patrimoni della collettività. Si occupano di questa fase del lavoro di Schifano tanto critici attenti, come Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo e Alberto Boatto, quanto scrittori illustri, quali Alberto Moravia e Goffredo Parise. Allo Studio Marconi presenta nel 1967 il lungometraggio “Anna Carini vista in agosto dalle farfalle”, cui farà seguito la trilogia di film composta da “Satellite”, “Umano non umano”, “Trapianto”, “consunzione e morte di Franco Brocani”.

    Le sue prime esperienze cinematografiche, portate avanti parallelamente a quelle pittoriche, risalgono comunque al 1964 e da queste subito si evince l’attenzione critica che l’artista presta all’ininterrotto flusso di immagini prodotto dalla nostra civiltà tecnologica in cui il reale viene sempre sostituito dal suo “doppio”, sia esso fotografico o televisivo o cinematografico. Fra il 1966 e 1967 realizza le serie “Ossigeno ossigeno”, “Oasi”,”Tuttestelle” “Compagni, compagni”. Partecipa a una collettiva alla Galleria La Salita dove non espone dipinti ma proietta fotogrammi sulla guerra del Vietnam.

    Ed è proprio l’interesse per la storia contemporanea e il suo impegno civile che lo porterà a una crisi ideologica e d’identità tale da dichiarare di voler abbandonare la pittura. Nel 1970 insieme a Tonino Guerra, sceneggiatore di Carlo Ponti, si reca per l’ultima volta in America, per effettuare i sopralluoghi del film, “Laboratorio umano”, poi mai realizzato. Tornato in Italia, spazientito dai tempi lunghi delle dinamiche cinematografiche, inizia la serie dei Paesaggi TV dove trasferisce su tela le immagini televisive con la tecnica dell’emulsione fotografica. Inizialmente sono le fotografie eseguite negli Stati Uniti a essere oggetto di rielaborazione (che daranno vita a opere come Pentagono, Medal of Honor, Era Nucleare, le sale di trapianto a Huston, la Nasa, Alamo Gordo dall’Archivio di Los Alamos), poi il patrimonio di immagini che quotidianamente e incessantemente trasmettono le stazioni televisive. Non è la cultura della TV che gli interessa, ma la cultura che si sviluppa a partire dall’immagine televisiva. Viaggia in Laos e in Thailandia, e successivamente in Africa.

    Nell’elaborazione delle opere l’artista predilige l’uso di colori di produzione industriale per la loro capacità di conservare l’iniziale brillantezza e di asciugare con rapidità, consentendogli di dipingere l’immagine nell’istante veloce della sua apparizione e una produzione di opere più estesa. Gli “Omaggi”, ciclo di lavoro che si apre e si chiude negli anni 70, rappresentano un momento in cui l’attività di Schifano si rivolge verso la stessa storia della pittura, storia eminentemente contemporanea s’intende, la quale viene reinterpretata e rivitalizzata. Nel 1971 partecipa alla mostra “Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-70”, curata da Achille Bonito Oliva; in seguito tiene personali a Roma, a Parma, a Torino e a Napoli ed è presente alla X Quadriennale di Roma e a Contemporanea, rassegna allestito nel parcheggio di Villa Borghese, sempre a Roma e ancora a cura di Bonito Oliva.

    Nel 1974 l’Università di Parma gli dedica una vasta ontologica di circa 100 opere che consentono di leggere per intero la sua avventura pittorica e definirne le linee portanti.Il Palazzo della Pilotta (Salone delle Scuderie) di Parma ospita la prima importante retrospettiva di Schifano, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, che permette di leggere per intero l’ampiezza del suo lavoro. Una crisi ideologica ed esistenziale lo costringe a periodi di isolamento nel suo studio dove realizza dei “d’après” reinterpretando Magritte, De Chirico, Boccioni, Cézanne, Picabi Nel 1976 Schifano partecipa alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Bologna alla mostra “Europa / America, l’astrazione determinata 1960-76”. Nel 1978 è invitato nuovamente alla Biennale di Venezia con la serie “Al mare”e “Quadri equestri”, opere dipinte con estrema grazia e leggerezza, costituiscono l’esempio di una ritrovata freschezza creativa. Presenta alla Tartaruga di Roma “Il capolavoro sconosciuto”, rielaborazione del noto omonimo racconto di Balzac.

    Nel 1979 diverse sue opere sono in mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara mentre l’anno successivo viene invitato da Maurizio Calvesi alla mostra “Arte e critica 1980”, allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel 1981 Germano Celant selezionò alcune opere di Schifano per l’esposizione “Identitè italienne” organizzato al Centre George Pompidou di Parigi. Sono di quel periodo i cicli intitolati “Architetture”, “Cosmesi”, “Biplani” e “Orti botanici”. Le sue opere compaiono nella rassegna Avanguardia/Transavanguardia alle Mura Aureliane del 1982. Marco Meneguzzo cura una sua personale alla Loggia Lombardesca di Ravenna.

    Concepisce una sequenza di dipinti di grandi dimensioni tra cui Biciclette e Ballerini. É presente alle edizioni del 1982 e del 1984 della Biennale di Venezia. In questo periodo tiene inoltre personali al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e al Padiglione d’arte Contemporanea di Ferrara, dove, sotto il titolo “Inventano con anima e senz’anima”, raccoglie una serie di tele che rappresentano la summa della sua ricerca in ambito naturalistico. Quest’ultima mostra diverrà poi itinerante, toccando diverse città italiane, per giungere infine in Francia, al Centre d’Art Contemporain di Saint Priest (1992). L’attenzione per il naturale caratterizza tutta l’attuale ricerca di Schifano: paesaggi, gigli d’acqua, campi di grano, movimenti del mare, distese di sabbia sono ricreati, reinventati, filtrati attraverso ricordi, pulsioni, sensazioni, affioramenti del profondo, sequenze di immagini veicolate da apparecchi televisivi, dalla pubblicità, dai rotocalchi, e si configurano pertanto come geografie della memoria. Nel 1985 a Firenze, in Piazza Santissima Annunziata, dipinge davanti a seimila persone La chimera, un’opera monumentale di quattro metri per dieci, inaugurando la rassegna sugli Etruschi.

    Si sposa con Monica De Bei da cui ha il figlio Marco, la sua pittura si fa più densa e più ricca di suggestioni. Nel 1989 è tra i protagonisti della rassegna Arte italiana del XX secolo, organizzata dalla Royal Academy di Londra. Sue personali sono allestite al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara. Nel 1990 il Palazzo delle Esposizioni di Roma, in occasione della sua riapertura, gli dedica una rassegna intitolata “Divulgare”, con opere di grande formato realizzate per l’occasione. Tre anni dopo presenta in diverse gallerie italiane il ciclo “Reperti”, dedicato agli animali del mondo preistorico, tema i cui primi esemplari erano già comparsi nella personale da Maeght.

    La Biennale di Venezia del 1993, curata da Achille Bonito Oliva, gli offre una sala personale nella sezione “Slittamenti”. Nel 1994 partecipa alla rassegna The Italian Metamorphosis, 1943-1968, organizzata dal Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Nel 1996 Schifano rende un omaggio alla sua Musa ausiliaria, ovvero alla televisione, intesa quale flusso continuo di immagini in grado di strutturarsi come vera e unica realtà totalizzante della nostra epoca. Se alla fine degli anni Sessanta si limitava a estrapolare dai programmi televisivi dei singoli fotogrammi e a proiettarli decontestualizzati sulla tela, ora, invece, interviene sulle immagini pittoricamente mutandole ulteriormente di senso.

    Allestisce con una quarantina di tele di questo genere e un migliaio di fotografie ritoccate a mano, una grande mostra che è stata ospitata dapprima presso la Fondazione Memorial da America Latina di San Paolo del Brasile (1996), poi presso il Museo di Belle Arti di Buenos Aires (1997); nel corso del 1998 sarà presentata alla Fondazione Wifredo Lam dell’Avana e a Città del Messico.

    Le opere di questi anni testimoniano il suo interesse per la scienza e per la tecnologia, la Stet gli commissiona di disegnare l’immagine integrata della società, Schifano coglie immediatamente le possibilità di Internet che, con il suo accesso illimitato, estende le possibilità espressive delle arti visive, la novità delle fibre ottiche che velocizzano la comunicazione, tanto da dedicargli un’opera che ne diventa il simbolo. Durante uno dei viaggi in Brasile compie un happening nella favela di Rio de Janeiro, dipingendo di bianco una baracca come protesta alla disposizione del sindaco di dipingere di verde tutte le favelas per uniformarle e renderle “invisibili”.

    Nel 1997 partecipa a Minimalia che si tiene al Palazzo Querini Dubois di Venezia. Nello stesso anno, in occasione del settimo centenario della edificazione di Santa Croce a Firenze, Schifano ottiene il Premio San Giorgio di Donatello per aver realizzato le vetrate policrome collocate nella cripta della Basilica. Schifano muore a Roma il 26 gennaio 1998.

    LA POP ART

    La pop art è un movimento artistico che inizia a delinearsi in Inghilterra nel 1952 attraverso i lavori di Hamilton e Paolozzi per poi precisarsi negli Stati Uniti per opera di Warhol, Linchestein, Dine, Oldenburg, Wesselmann, Rivers, Segal, Rosenquist e svilupparsi contestualmente nel resto d’Europa. Pop art deriva dalla parola inglese “popular art” ovvero arte popolare.

    Partendo da una riflessione sulla loro contemporaneità, caratterizzata dall’abbondanza di merci e dalla presenza sempre più massiccia dei media, gli artisti pop prelevano i loro materiali , immagini, oggetti da quello che rappresentano nella realtà per creare l’opera. La Pop Art attinge i propri soggetti dall’universo del quotidiano e fonda la propria comprensibilità sul fatto che quei soggetti sono per tutti assolutamente noti e riconoscibili. In Europa trova subito grande risonanza grazie alla Biennale di Venezia del 1964 che la rappresenta in maniera più spettacolare e che assegna a Robert Rauschemberg, il premio della giuria.

    Gli artisti europei prendono parte alla corrente in maniera diversa rispetto a quelli americani trovando una propria identità. Gli italiani elaborano un linguaggio che della pop art assume valenze più umanistiche e letterarie, rispecchiando così le varie autonomie culturali e la sensibilità dei singoli.

    Proponendo ognuno punti di vista originali, eterogenei, in alcuni casi anche critici della pop art americana creano un clima in cui le influenze d’oltre oceano sono filtrate attraverso l’ironia e la storia, il passato e la contemporaneità, la cultura e la memoria.

    Ne fa parte il gruppo romano della Scuola di piazza del Popolo: Tano Festa, Franco Angeli, Mario Schifano, Mario Ceroli, Fabio Mauri, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis; e poi ancora: Valerio Adami, Emilio Tadini, Alik Cavaliere, Lucio Del Pezzo, Titina Maselli, Pino Pascali, Claudio Cintoli, Beppe Devalle, Concetto Pozzati, Umberto Buscioni,Renato Mambor, Ugo Nespolo, Sergio Lomberdi, Aldo Modino, Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto, Enrico Baj e Domenico Gnoli

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